Guadano i fiumi con le loro barche o percorrono lunghe strade sterrate per arrivare alla capitale del Mozambico, l’ultimo sabato del mese, a vendere i loro prodotti. Sono i contadini e i pescatori che animano il Mercato della Terra di Maputo, un progetto di agricoltura sostenibile avviato due anni fa da Slow Food.
Attraversano i corsi d’acqua con i loro ortaggi tradizionali a foglia, verdura, frutta, pesce fresco, riso, succhi di frutta, confetture e cibi di strada come i rissois (crocchette di riso ereditate dalla gastronomia portoghese), i samosa o chamuça (antipasti ripieni di origine indiana) e le bajias, tipiche frittelle di legumi.
Tutti al Mercato della Terra
Parliamo dei contadini e pescatori che animano il Mercato della Terra di Maputo, un progetto di promozione dell’agricoltura sostenibile avviato nel 2013 da Slow Food insieme alla Ong Gvc. Per tanti lavoratori della terra e del mare, il Mercato non è solo un luogo di commerci ma una vetrina per raccontare ciò che si produce in prima persona, garantendone l’origine e suggerendo ricette tradizionali ai propri clienti più affezionati. Una valida alternativa, insomma, ai tanti mercati africani gestiti solo da intermediari e commerciati.
Sulle bancarelle del Mercato della Terra si possono trovare anche i prodotti dell’orto comunitario di Chamissava: amaranto, zucche, fagioli, pomodorini, mandorle e cacana, una pianta a foglie verdi, impiegata come verdura. Chamissava è una delle 21 coltivazioni che Slow Food promuove nel Paese nell’ambito del progetto 10.000 orti in Africa. Un terreno sabbioso di quasi un ettaro, affidato alle cure di 15 contadini (quasi tutte donne) aderenti all’associazione Aiutapoio. Insieme difendono questa oasi alimentare dall’urbanizzazione di una Maputo soggetta – come molte altre capitali subsahariane – a una cementificazione selvaggia.
Parliamo dei contadini e pescatori che animano il Mercato della Terra di Maputo, un progetto di promozione dell’agricoltura sostenibile avviato nel 2013 da Slow Food insieme alla Ong Gvc. Per tanti lavoratori della terra e del mare, il Mercato non è solo un luogo di commerci ma una vetrina per raccontare ciò che si produce in prima persona, garantendone l’origine e suggerendo ricette tradizionali ai propri clienti più affezionati. Una valida alternativa, insomma, ai tanti mercati africani gestiti solo da intermediari e commerciati.
Sulle bancarelle del Mercato della Terra si possono trovare anche i prodotti dell’orto comunitario di Chamissava: amaranto, zucche, fagioli, pomodorini, mandorle e cacana, una pianta a foglie verdi, impiegata come verdura. Chamissava è una delle 21 coltivazioni che Slow Food promuove nel Paese nell’ambito del progetto 10.000 orti in Africa. Un terreno sabbioso di quasi un ettaro, affidato alle cure di 15 contadini (quasi tutte donne) aderenti all’associazione Aiutapoio. Insieme difendono questa oasi alimentare dall’urbanizzazione di una Maputo soggetta – come molte altre capitali subsahariane – a una cementificazione selvaggia.
In un Paese povero con ben 2400 chilometri di coste, la cucina di pesce è giustamente considerata un fiore all’occhiello della gastronomia locale: crostacei e molluschi mozambicani sono tra i migliori del mondo, a detta dei buongustai. L’influenza degli ex colonizzatori lusitani echeggia nella popolarissima matata, una specialità di Maputo a base di cozze e vongole cotte nel vino di Porto, insieme ad arachidi tritate e teneri germogli di frutti. I sapori della lontana India, con cui pescatori e mercanti della costa hanno intessuto relazioni secolari, si possono riconoscere invece nei diversi modi di cucinare il caril (curry) e nelle composte di mango e altri frutti, preparate per condire i piatti di carne. La pesca è l’attività principale dalla baia di Maputo, quasi al confine col Sudafrica, fino all’arcipelago di Quirimbas, nell’estremo nord del Paese. Questa trentina di isole, note con l’appellativo di Isole Fortunate, costituiscono un santuario naturale quasi incontaminato e assai poco popolato: Ibo, con appena 400 abitanti, è una delle principali. Si dice che qui abbia soggiornato l’esploratore portoghese Vasco de Gama durante la circumnavigazione dell’Africa e i villaggi portano ancora i segni della lunga dominazione portoghese.
Il Paese in cui cresce il wild coffee
Sull’isola cresce la Coffea racemosa Loureiro, una varietà di caffè tra l’arabica e la robusta, appartenente a un gruppo di specie noto come “wild coffee”: è il caffè di Ibo, tutelato come Presidio della Fondazione Slow Food. La pianta, adatta a resistere a lunghe stagioni secche e a terreni sabbiosi, cresce ancora allo stato selvatico, ma in ogni orto la si coltiva per il consumo familiare. Le bacche sono lasciate essiccare al sole per qualche giorno su ripiani di bambù e iuta e sgranate a mano una volta che buccia, polpa e semi siano del tutto asciutti.
Il caffè di Ibo, apprezzato per il basso contenuto di caffeina, veniva addirittura esportato in Europa nei primi decenni del Novecento, quando lo si utilizzava per ammorbidire le miscele più forti provenienti dal Brasile, da Sâo Tomé e da Giava. Il mercato è andato in crisi tra gli anni Settanta e Ottanta e il numero di piantagioni, da allora, si è molto ridotto. Rimane comunque un prodotto molto consumato dai locali e considerato unico per il suo intenso aroma di erbe, un misto di alloro, menta, eucalipto e liquirizia.
Sull’isola cresce la Coffea racemosa Loureiro, una varietà di caffè tra l’arabica e la robusta, appartenente a un gruppo di specie noto come “wild coffee”: è il caffè di Ibo, tutelato come Presidio della Fondazione Slow Food. La pianta, adatta a resistere a lunghe stagioni secche e a terreni sabbiosi, cresce ancora allo stato selvatico, ma in ogni orto la si coltiva per il consumo familiare. Le bacche sono lasciate essiccare al sole per qualche giorno su ripiani di bambù e iuta e sgranate a mano una volta che buccia, polpa e semi siano del tutto asciutti.
Il caffè di Ibo, apprezzato per il basso contenuto di caffeina, veniva addirittura esportato in Europa nei primi decenni del Novecento, quando lo si utilizzava per ammorbidire le miscele più forti provenienti dal Brasile, da Sâo Tomé e da Giava. Il mercato è andato in crisi tra gli anni Settanta e Ottanta e il numero di piantagioni, da allora, si è molto ridotto. Rimane comunque un prodotto molto consumato dai locali e considerato unico per il suo intenso aroma di erbe, un misto di alloro, menta, eucalipto e liquirizia.
È possibile scoprire la biodiversità mozambicana attraverso i Presìdi Slow Food e i prodotti dell’Arca del Gusto.
Il Padiglione di Slow Food si trova in fondo al Decumano, entrata Est Roserio, fermata 7 del People Mover.