Oggi è un Paese dinamico, al cui interno etnie e culture diverse compongono un mosaico di tradizioni. I sapori intensi della gastronomia locale lo testimoniano meglio di qualunque altro aspetto della quotidianità.
Emilio Salgari vi ambientò il suo ciclo di avventure più famoso, quello di Sandokan e dei tigrotti di Mompracem. Ma tra gli stretti della Malesia non circolavano solo temibili pirati: nei suoi porti, come la mitica Malacca, si sono incrociati per secoli gli equipaggi di giunche cinesi e vascelli spagnoli, golette portoghesi e guraba indiani, di passaggio nelle acque che uniscono il Golfo del Bengala al Mar Cinese meridionale.
Piatti reinventanti secondo i gusti delle minoranze
Colonizzata dalle potenze europee e soggetta a forti migrazioni fin dal XV secolo, la Malesia è oggi un Paese molto dinamico dal punto di vista economico e demografico, al cui interno etnie e culture diverse compongono un mosaico di tradizioni. I sapori intensi della gastronomia locale lo testimoniano meglio di qualunque altro aspetto della quotidianità: c’è la delicata cucina Nyonya dei Peranakan, i coloni cinesi che stabilendosi nel Paese a ondate successive hanno reinventato i loro piatti classici sposando le influenze locali. O la nuova cucina indiana, più aromatica e speziata rispetto a quella dell’antica madrepatria: si deve a quegli immigrati di cui i colonizzatori britannici favorirono l’afflusso come manodopera per le piantagioni di gomma nel XIX secolo. Gli europei hanno lasciato traccia del loro passaggio anche nella comunità creola dei Kristang (cristiani), lontani eredi dei portoghesi di Malacca che trasformarono la propria cucina campagnola in un’autentica tradizione orientale fatta di cibi saporiti e piccanti.
Colonizzata dalle potenze europee e soggetta a forti migrazioni fin dal XV secolo, la Malesia è oggi un Paese molto dinamico dal punto di vista economico e demografico, al cui interno etnie e culture diverse compongono un mosaico di tradizioni. I sapori intensi della gastronomia locale lo testimoniano meglio di qualunque altro aspetto della quotidianità: c’è la delicata cucina Nyonya dei Peranakan, i coloni cinesi che stabilendosi nel Paese a ondate successive hanno reinventato i loro piatti classici sposando le influenze locali. O la nuova cucina indiana, più aromatica e speziata rispetto a quella dell’antica madrepatria: si deve a quegli immigrati di cui i colonizzatori britannici favorirono l’afflusso come manodopera per le piantagioni di gomma nel XIX secolo. Gli europei hanno lasciato traccia del loro passaggio anche nella comunità creola dei Kristang (cristiani), lontani eredi dei portoghesi di Malacca che trasformarono la propria cucina campagnola in un’autentica tradizione orientale fatta di cibi saporiti e piccanti.
La patria delle spezie
Il gusto per le spezie e gli aromi è infatti la cifra comune che accomuna tutte le influenze locali. Il pepe nero, di gran lunga la spezia più diffusa al mondo, è utilizzato da oltre 2000 anni nella fertile regione del Sarawak, uno dei due territori malesi sull’isola del Borneo.
Nell’area più interna del Sarawak, attraversata dal fiume Rimbàs, gli indigeni Iban coltivano ancora oggi il kuching, varietà di Piper nigrum che la Fondazione Slow Food tutela come Presidio del pepe nero di Rimbàs. I nativi Iban mantengono un forte senso di comunità, vivendo in piccoli villaggi di palafitte, dette longhouse, dove ogni appartamento familiare si affaccia su una lunga veranda comune. I capi villaggio assicurano il possesso della terra al primo che la coltiva, di modo che il passaggio delle proprietà di padre in figlio avvenga in modo corretto e tutti i campi intorno alla longhouse vengano curati. Ma il pepe è una coltura poco redditizia rispetto all’albero della gomma o alla palma da olio. Richiede molto lavoro e, a differenza del riso, non è un bene primario: per questo il Presidio si propone di migliorare la qualità del prodotto, di modo che i coltivatori possano dedicare più tempo a questa varietà di pepe e salvarla dall’estinzione.
Il gusto per le spezie e gli aromi è infatti la cifra comune che accomuna tutte le influenze locali. Il pepe nero, di gran lunga la spezia più diffusa al mondo, è utilizzato da oltre 2000 anni nella fertile regione del Sarawak, uno dei due territori malesi sull’isola del Borneo.
Nell’area più interna del Sarawak, attraversata dal fiume Rimbàs, gli indigeni Iban coltivano ancora oggi il kuching, varietà di Piper nigrum che la Fondazione Slow Food tutela come Presidio del pepe nero di Rimbàs. I nativi Iban mantengono un forte senso di comunità, vivendo in piccoli villaggi di palafitte, dette longhouse, dove ogni appartamento familiare si affaccia su una lunga veranda comune. I capi villaggio assicurano il possesso della terra al primo che la coltiva, di modo che il passaggio delle proprietà di padre in figlio avvenga in modo corretto e tutti i campi intorno alla longhouse vengano curati. Ma il pepe è una coltura poco redditizia rispetto all’albero della gomma o alla palma da olio. Richiede molto lavoro e, a differenza del riso, non è un bene primario: per questo il Presidio si propone di migliorare la qualità del prodotto, di modo che i coltivatori possano dedicare più tempo a questa varietà di pepe e salvarla dall’estinzione.
Il tipico sale di nipah
Nello stesso destino, a causa della disponibilità di sostituti accessibili e a buon mercato, rischia di imbattersi il tipico sale di Nipah, uno dei dieci prodotti che l’associazione della Chiocciola ha accolto a bordo dell’Arca del Gusto. Lo si ottiene con un complesso procedimento dalle foglie della palma Buah Nipah, che cresce in abbondanza lungo le aree costiere in tutto il Sarawak. Le foglie bagnate dall’acqua salina, una volta mature, possono essere tagliate e lasciate asciugare al sole per tre o quattro giorni. Una volta essiccate, le foglie vengono bruciate e le ceneri messe a bollire in un grande wok in ghisa pieno d’acqua: i detriti che galleggiano in superficie vengono gradualmente rimossi, finché l’evaporazione lascia sul fondo una torta di sale solidificata. Per molto tempo questo ingegnoso sistema ha rappresentato l’unica fonte di sale in un’area in cui il sale marino non era facilmente disponibile: lo si può ancora trovare in vendita, avvolto in foglie di Nipah e col suo caratteristico sapore affumicato, nei mercati dei piccoli centri rurali.
Nello stesso destino, a causa della disponibilità di sostituti accessibili e a buon mercato, rischia di imbattersi il tipico sale di Nipah, uno dei dieci prodotti che l’associazione della Chiocciola ha accolto a bordo dell’Arca del Gusto. Lo si ottiene con un complesso procedimento dalle foglie della palma Buah Nipah, che cresce in abbondanza lungo le aree costiere in tutto il Sarawak. Le foglie bagnate dall’acqua salina, una volta mature, possono essere tagliate e lasciate asciugare al sole per tre o quattro giorni. Una volta essiccate, le foglie vengono bruciate e le ceneri messe a bollire in un grande wok in ghisa pieno d’acqua: i detriti che galleggiano in superficie vengono gradualmente rimossi, finché l’evaporazione lascia sul fondo una torta di sale solidificata. Per molto tempo questo ingegnoso sistema ha rappresentato l’unica fonte di sale in un’area in cui il sale marino non era facilmente disponibile: lo si può ancora trovare in vendita, avvolto in foglie di Nipah e col suo caratteristico sapore affumicato, nei mercati dei piccoli centri rurali.
Dalla linfa della stessa pianta si ricava anche una sostanza dolce nota con l’appellativo di Gula Apong, zucchero di palma. La linfa viene raccolta effettuando un taglio sul fiore, per consentire al liquido di fluire in contenitori di bambù: di seguito viene fatta bollire per 6-8 ore ed agitata di continuo per favorire l’evaporazione dell’acqua. Il Gula Apong assomiglia alla melassa ed è di colore bruno dorato: ha un sapore dolce con un retrogusto salino, proprio a causa del contenuto di sale della palma Nipah. Gli Iban lo utilizzano da sempre nella preparazione di spuntini e dolci da servire agli ospiti durante le feste, insieme alle torte di riso che fanno parte dei tradizionali pirings, le offerte di cibo agli dei. I dolci sono sempre più richiesti nelle città rurali costiere, ma la preparazione dello zucchero di palma richiede tempo e maestria e rischia perciò di cedere il passo alle varie forme di zucchero, miele e melassa maggiormente disponibili sul mercato.
È possibile scoprire la biodiversità malese attraverso i Presìdi Slow Food e i prodotti dell’Arca del Gusto.
Il Padiglione Slow Food si trova in fondo al Decumano, entrata Est Roserio, fermata 7 del People Mover.