Un Paese lacerato dalla guerra civile e dai colpi di Stato dove è nato un Presidio Slow Food speciale, quello della cola di Kenam, un parente dell’albero di cacao che qui si trova allo stato selvatico.
Se proviamo a dare una nostra idea di come conosciamo la Sierra Leone, non possiamo non partire dalla cola di Kenema, Presidio Slow Food dal 2012. È un Presidio nato in un paese difficile, lacerato dalla guerra civile e dai colpi di stato, insanguinato dal commercio dai diamanti e colpito lo scorso anno dall’ epidemia di Ebola. Nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2014 compilato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite la Sierra Leone risulta essere la 183esima di 187 stati, con un’aspettativa di vita di 57,39 anni (dati 2014) e il 70,2% della popolazione sotto la linea di povertà (dati 2004).
Una terra generosa, un frutto importante, simbolo di amicizia
Eppure la terra della Sierra Leone è generosa. Ed è di questa generosità che vogliamo parlare. Le noci variopinte della cola nascono da un albero parente di quello del cacao, nativo delle foreste tropicali dell’Africa occidentale – Liberia e Sierra Leone, in particolare, dove lo si trova ancora allo stato selvatico. L’importanza della cola la si intuisce dalle occasioni in cui viene consumata: durante riti e cerimonie, per dare il benvenuto agli ospiti, come simbolo di amicizia, per siglare un’intesa o una riconciliazione. Inoltre è ingrediente della farmacopea tradizionale ed è usata come colorante dalle etnie Mandingo e Temne, che ne ricavano una tintura marrone per i tessuti.
Eppure la terra della Sierra Leone è generosa. Ed è di questa generosità che vogliamo parlare. Le noci variopinte della cola nascono da un albero parente di quello del cacao, nativo delle foreste tropicali dell’Africa occidentale – Liberia e Sierra Leone, in particolare, dove lo si trova ancora allo stato selvatico. L’importanza della cola la si intuisce dalle occasioni in cui viene consumata: durante riti e cerimonie, per dare il benvenuto agli ospiti, come simbolo di amicizia, per siglare un’intesa o una riconciliazione. Inoltre è ingrediente della farmacopea tradizionale ed è usata come colorante dalle etnie Mandingo e Temne, che ne ricavano una tintura marrone per i tessuti.
Una pianta che ha bisogno di cure
Benché oggi la guerra civile sia ultimata, gli alberi di cola subiscono ancora le conseguenze del conflitto: i coltivatori più esperti sono morti sotto le armi o emigrati, e la catena di trasmissione dei saperi tradizionali si è spezzata di netto. Oggi gli alberi di cola crescono in modo trascurato, producono tardi e in modo discontinuo. Invece, la cola ha un gran bisogno di cure. In Sierra Leone, di solito, si coltivano in consociazione con caffè e cacao – piante più piccole che prediligono l’ombra – e si raccoglie due volte l’anno: da aprile a maggio e da novembre a gennaio. Dopo la raccolta, si tagliano i frutti e si aprono: ogni frutto contiene 8-10 noci, protette a loro volta da una buccia gialla. Per toglierla, si sistemano le noci a terra, su una stuoia, si coprono con foglie di banano (o mango) e si bagnano. Tempo una settimana e la buccia marcisce. A questo punto, per toglierla basta risciacquare le noci in acqua fresca. La cola va infine stoccata in ceste o sacchi rivestiti con foglie fresche di mango o banano: l’umidità delle foglie evita che le noci secchino. Con questa accortezza, la cola si può conservare più di sei mesi e può affrontare lunghi viaggi.
Benché oggi la guerra civile sia ultimata, gli alberi di cola subiscono ancora le conseguenze del conflitto: i coltivatori più esperti sono morti sotto le armi o emigrati, e la catena di trasmissione dei saperi tradizionali si è spezzata di netto. Oggi gli alberi di cola crescono in modo trascurato, producono tardi e in modo discontinuo. Invece, la cola ha un gran bisogno di cure. In Sierra Leone, di solito, si coltivano in consociazione con caffè e cacao – piante più piccole che prediligono l’ombra – e si raccoglie due volte l’anno: da aprile a maggio e da novembre a gennaio. Dopo la raccolta, si tagliano i frutti e si aprono: ogni frutto contiene 8-10 noci, protette a loro volta da una buccia gialla. Per toglierla, si sistemano le noci a terra, su una stuoia, si coprono con foglie di banano (o mango) e si bagnano. Tempo una settimana e la buccia marcisce. A questo punto, per toglierla basta risciacquare le noci in acqua fresca. La cola va infine stoccata in ceste o sacchi rivestiti con foglie fresche di mango o banano: l’umidità delle foglie evita che le noci secchino. Con questa accortezza, la cola si può conservare più di sei mesi e può affrontare lunghi viaggi.
Nel 2012 è nata la Cola Baladin, prodotta con estratto di cola di Kenema
Attualmente, il Presidio della cola di Kenema coinvolge 48 piccoli produttori dei villaggi di Dalru e Gegbwema che hanno iniziato a lavorare insieme per migliorare la coltivazione, la trasformazione e la commercializzazione. Grazie a un’importante collaborazione tra l’azienda italiana Baladin e la Fondazione Slow Food per la Biodiversità, nel 2012 è nata la Cola Baladin, prodotta esclusivamente con estratto di cola di Kenema e con ingredienti naturali. La si potrebbe chiamare Gloca-Cola, perché è locale che più locale non si può, ma è stata in grado di intraprendere un viaggio intercontinentale di tutto rispetto.
Attualmente, il Presidio della cola di Kenema coinvolge 48 piccoli produttori dei villaggi di Dalru e Gegbwema che hanno iniziato a lavorare insieme per migliorare la coltivazione, la trasformazione e la commercializzazione. Grazie a un’importante collaborazione tra l’azienda italiana Baladin e la Fondazione Slow Food per la Biodiversità, nel 2012 è nata la Cola Baladin, prodotta esclusivamente con estratto di cola di Kenema e con ingredienti naturali. La si potrebbe chiamare Gloca-Cola, perché è locale che più locale non si può, ma è stata in grado di intraprendere un viaggio intercontinentale di tutto rispetto.
L’altra biodiversità. Dal vino di palma al nenè
Se la Cola di Kenema è un po’ il prodotto simbolo della biodiversità locale, sull’Arca del Gusto Slow Food ha raccolto altri interessantissimi prodotti. Il poyo o vino di palma, ad esempio, una bevanda fermentata tradizionale che si prepara con la linfa di varie specie di palma; oppure il néré (Parkia biglobosa) da cui frutti leguminosi si ricava una polvere aromatica (sounbareh in lingua mandingo o kainda in lingua krio) usata per insaporire piatti a base di ortaggi verdi, foglie di patata e cassava o per la preparazione di zuppe; e ancora il Caffè stenophylla, di una specie rarissima, diversa sia dall’arabica che dalla robusta, estremamente resistente alla siccità e con un ciclo di crescita lentissimo. Molta di questa biodiversità è racchiusa anche nei 96 orti del progetto 10.000 orti in Africa disseminati nel paese.
Se la Cola di Kenema è un po’ il prodotto simbolo della biodiversità locale, sull’Arca del Gusto Slow Food ha raccolto altri interessantissimi prodotti. Il poyo o vino di palma, ad esempio, una bevanda fermentata tradizionale che si prepara con la linfa di varie specie di palma; oppure il néré (Parkia biglobosa) da cui frutti leguminosi si ricava una polvere aromatica (sounbareh in lingua mandingo o kainda in lingua krio) usata per insaporire piatti a base di ortaggi verdi, foglie di patata e cassava o per la preparazione di zuppe; e ancora il Caffè stenophylla, di una specie rarissima, diversa sia dall’arabica che dalla robusta, estremamente resistente alla siccità e con un ciclo di crescita lentissimo. Molta di questa biodiversità è racchiusa anche nei 96 orti del progetto 10.000 orti in Africa disseminati nel paese.
È possibile scoprire la biodiversità sierraleonese attraverso il Presidio della cola di Kenema e i prodotti dell’Arca del Gusto.
Il Padiglione Slow Food si trova in fondo al Decumano, entrata Est Roserio, fermata 7 del People Mover.