La Guinea Bissau è un piccolo stato che si trova sulla costa occidentale dell’Africa, un’ex colonia del Portogallo di cui ha mantenuto la lingua ufficiale. Il Paese è un grande produttore di olio di palma di cui Slow Food protegge la specie selvatica e di sale di Farim, prodotto sul rio Cacheu.
La cucina è tipicamente africana, a base di pesce, frutti di mare, ostriche e gamberoni pescati lungo la costa, sulle isole e anche nei bracci dei rios nelle zone interne, e poi pollo, riso e molti tipi di frutta tropicale, con cui si preparano ottimi succhi, come quello di cabaceira (baobab), di caju (anacardo) o di tambarina (tamarindo). Come in molti altri paesi dell’Africa centrale, manioca, igname e mais costituiscono la base dell’alimentazione. Si mangia carne di capra, vitello, gazzella e, in alcuni villaggi rurali, anche quella di scimmia.
Il paese è un grande produttore di anacardi e di olio di palma: per quanto riguarda quest’ultimo, un Presidio Slow Food protegge quello di palma selvatica, che presenta grossi grappoli di bacche raccolte ancora oggi dagli uomini delle comunità locali, mentre le donne le trasformano in un olio denso e aranciato, che profuma di pomodoro, frutta e spezie.
La raccolta è compito degli uomini mentre alle donne è affidata la trasformazione, lunga e laboriosa. Le tecniche sono leggermente diverse, a seconda della zona e delle tribù (come i Balanta e i Manjaca), ma alcuni passaggi sono fondamentali per la qualità finale. I caschi rimangono qualche giorno sotto le foglie di banano, in modo che si ammorbidiscano e che sia più semplice staccare i frutti, che devono poi essiccare al sole per uno o due giorni. A questo punto i frutti sono immersi in una grande caldaia di acqua e devono bollire a lungo. Dopo questa fase inizia una lunga e paziente operazione manuale: le donne separano i semi dalla polpa e li mettono da parte. Poi aggiungono altra acqua, alternativamente fredda e calda, per facilitare l’estrazione, e strizzano la polpa con le mani. Via via che l’olio affiora in superficie, lo raccolgono e lo separano dall’acqua. Questa operazione si ripete diverse volte.
La raccolta è compito degli uomini mentre alle donne è affidata la trasformazione, lunga e laboriosa. Le tecniche sono leggermente diverse, a seconda della zona e delle tribù (come i Balanta e i Manjaca), ma alcuni passaggi sono fondamentali per la qualità finale. I caschi rimangono qualche giorno sotto le foglie di banano, in modo che si ammorbidiscano e che sia più semplice staccare i frutti, che devono poi essiccare al sole per uno o due giorni. A questo punto i frutti sono immersi in una grande caldaia di acqua e devono bollire a lungo. Dopo questa fase inizia una lunga e paziente operazione manuale: le donne separano i semi dalla polpa e li mettono da parte. Poi aggiungono altra acqua, alternativamente fredda e calda, per facilitare l’estrazione, e strizzano la polpa con le mani. Via via che l’olio affiora in superficie, lo raccolgono e lo separano dall’acqua. Questa operazione si ripete diverse volte.
Sia l’olio sia i frutti freschi della palma sono ingredienti fondamentali per la cucina tradizionale: possono accompagnare carne, pesce, verdure e riso, a seconda delle ricette. E non inganniamoci: questo olio di palma è completamente diverso dalla versione industriale presente nella maggior parte dei nostri cibi quotidiani. Quest’ultimo, sbiancato, raffinato, frazionato sta mostrando sempre di più i suoi rischi ambientali e per la salute umana.
Il sale di Farim raccolto dalle donne
Altro grande protagonista slow della Guinea Bissau è il sale di Farim, che si produce lungo il tratto di 100 chilometri del rio Cacheu si estende fino all’oceano, un braccio di mare che si insinua in profondità nell’entroterra, un bacino di acqua salmastra soggetto all’alternarsi delle maree. Nei mesi che vanno da novembre a maggio, quando cala la marea e soffia il vento caldo dell’est, una crosta di sale si deposita sulla superficie scoperta del letto del fiume. Le donne, che si occupano della produzione di sale, raschiano la terra salata, la filtrano con teli tesi su strutture di legno e cuociono la salamoia così ottenuta per accelerare l’evaporazione dell’acqua. Si sta da poco iniziando a sostituire la cottura con l’evaporazione, in vasche poco profonde a terra, per evitare che le donne debbano trasportare la terra salata fino ai propri villaggi, a chilometri di distanza. Questo sistema, inoltre, presenta indubbi vantaggi ambientali, non avendo impatti sulle foreste di mangrovie. Una volta pronto e purificato, il sale è utilizzato per il consumo domestico o venduto sul mercato locale.
Altro grande protagonista slow della Guinea Bissau è il sale di Farim, che si produce lungo il tratto di 100 chilometri del rio Cacheu si estende fino all’oceano, un braccio di mare che si insinua in profondità nell’entroterra, un bacino di acqua salmastra soggetto all’alternarsi delle maree. Nei mesi che vanno da novembre a maggio, quando cala la marea e soffia il vento caldo dell’est, una crosta di sale si deposita sulla superficie scoperta del letto del fiume. Le donne, che si occupano della produzione di sale, raschiano la terra salata, la filtrano con teli tesi su strutture di legno e cuociono la salamoia così ottenuta per accelerare l’evaporazione dell’acqua. Si sta da poco iniziando a sostituire la cottura con l’evaporazione, in vasche poco profonde a terra, per evitare che le donne debbano trasportare la terra salata fino ai propri villaggi, a chilometri di distanza. Questo sistema, inoltre, presenta indubbi vantaggi ambientali, non avendo impatti sulle foreste di mangrovie. Una volta pronto e purificato, il sale è utilizzato per il consumo domestico o venduto sul mercato locale.
Se ampliamo i nostri orizzonti, scopriamo che quello della Guinea Bissau non è l’unico sale di qualità del continente africano. In Senegal, viene prodotto il sale del lago Retba; in Egitto lo si produce nelle oasi di Siwa; nel Marocco nordorientale, a Zerradoun, si trovano due fonti di acqua salmastra dove le donne ricavano il sale, seguendo le stesse procedure tradizionali che usavano un tempo; in Kenya si produce un sale che si estrae dalla canna di una pianta acquatica che cresce lungo il fiume Nzoia; in Etiopia il sale nero di Boke si estrae dal lago nero all’interno del cratere di un vulcano inattivo, il cui nome, El Sod, significa la casa del sale; infine, in Sud Africa, Baleni, anche conosciuto come Sautini, è una sorgente termale situata nell’area del Lowveld, nel nord-est del paese. È un sito davvero unico, dove spiritualità, tradizioni e riti si fondono attorno ai grani di sale nero.
La biodiversità della Guinea Bissau può essere conosciuta attraverso i Presìdi di Slow Food.
Il Padiglione di Slow Food si trova in fondo al Decumano, entrata Est Roserio, fermata 7 del People Mover.