Mario Guidi è il Presidente di Confagricoltura. Confermando la vocazione all’innovazione dell'associazione, spiega a Exponet come le biotecnologie di nuova generazione possano essere molto utili all’agricoltura biologica.
Presidente, nel mondo si producono e consumano OGM da ormai vent’anni. Come si è evoluto il dibattito?
Purtroppo non è cambiato molto, perché le prese di posizione sono ancora basate soprattutto sulle emozioni e sull’ignoranza, pochi sono davvero consapevoli di cosa sia l’ingegneria genetica. Personalmente, credo di essere l’unico agricoltore in Italia che ha coltivato i primi OGM e al tempo stesso fa agricoltura con metodi tradizionali e anche con quelli biologici. Negli anni Novanta, quando ancora si poteva, abbiamo cominciato a coltivare bietole e soia geneticamente modificate, che davano risultati assolutamente performanti. Purtroppo a un certo punto tutto ciò è stato vietato. Ma allo stesso tempo io coltivo anche pere e meloni biologici perché penso che questo sia un settore di mercato molto interessante. Il mio approccio non è emotivo, ma imprenditoriale e il più possibile scientifico.
Purtroppo non è cambiato molto, perché le prese di posizione sono ancora basate soprattutto sulle emozioni e sull’ignoranza, pochi sono davvero consapevoli di cosa sia l’ingegneria genetica. Personalmente, credo di essere l’unico agricoltore in Italia che ha coltivato i primi OGM e al tempo stesso fa agricoltura con metodi tradizionali e anche con quelli biologici. Negli anni Novanta, quando ancora si poteva, abbiamo cominciato a coltivare bietole e soia geneticamente modificate, che davano risultati assolutamente performanti. Purtroppo a un certo punto tutto ciò è stato vietato. Ma allo stesso tempo io coltivo anche pere e meloni biologici perché penso che questo sia un settore di mercato molto interessante. Il mio approccio non è emotivo, ma imprenditoriale e il più possibile scientifico.
Dopo vent’anni, qual è lo stato dell’arte delle biotecnologie?
Oggi stiamo vivendo un momento di passaggio, in cui dai vecchi OGM transgenici si va verso la nuova frontiera della ricombinazione genetica. Se nel transgenico degli anni Novanta si inserivano in una pianta i geni di un organismo completamente diverso, con il cisgenico e il genome editing si riesce a manipolare in modo mirato il DNA di una varietà per renderla più resistente ai parassiti. Sostanzialmente viene imitato il processo di selezione naturale, rendendolo semplicemente più veloce ed efficace nell’ottenere piante che si autoproteggono da virus, funghi e parassiti. È un grande passo avanti nella sostenibilità dell’agricoltura, perché permette di ridurre l’uso di fitofarmaci, acqua e fertilizzanti e di ottenere prodotti più sani e che si conservano più a lungo. Confagricoltura chiede che si possano utilizzare questi nuovi prodotti dell’ingegneria genetica, che sono assolutamente compatibili sia con il Made in Italy sia con l’agricoltura biologica. Anzi, possono addirittura favorire il biologico, perché riducono drasticamente la necessità di utilizzare la chimica, affidandosi alle difese naturali delle piante. Ciò è particolarmente vero per colture tipicamente italiane, come la vite e il pomodoro. Ma d’altra parte questo è vero anche per alcuni OGM transgenici, come il mais BT, che grazie al gene del bacillus turingensis produce spontaneamente una tossina tossica per la piralide, un parassita del mais. Bene, la stessa identica sostanza è il principale fitofarmaco ammesso e largamente utilizzato nell’agricoltura biologica. L’unica differenza è che il mais BT la produce spontaneamente, mentre nelle coltivazioni di mais biologico viene irrorata sulle piante con le macchine agricole.
Oggi stiamo vivendo un momento di passaggio, in cui dai vecchi OGM transgenici si va verso la nuova frontiera della ricombinazione genetica. Se nel transgenico degli anni Novanta si inserivano in una pianta i geni di un organismo completamente diverso, con il cisgenico e il genome editing si riesce a manipolare in modo mirato il DNA di una varietà per renderla più resistente ai parassiti. Sostanzialmente viene imitato il processo di selezione naturale, rendendolo semplicemente più veloce ed efficace nell’ottenere piante che si autoproteggono da virus, funghi e parassiti. È un grande passo avanti nella sostenibilità dell’agricoltura, perché permette di ridurre l’uso di fitofarmaci, acqua e fertilizzanti e di ottenere prodotti più sani e che si conservano più a lungo. Confagricoltura chiede che si possano utilizzare questi nuovi prodotti dell’ingegneria genetica, che sono assolutamente compatibili sia con il Made in Italy sia con l’agricoltura biologica. Anzi, possono addirittura favorire il biologico, perché riducono drasticamente la necessità di utilizzare la chimica, affidandosi alle difese naturali delle piante. Ciò è particolarmente vero per colture tipicamente italiane, come la vite e il pomodoro. Ma d’altra parte questo è vero anche per alcuni OGM transgenici, come il mais BT, che grazie al gene del bacillus turingensis produce spontaneamente una tossina tossica per la piralide, un parassita del mais. Bene, la stessa identica sostanza è il principale fitofarmaco ammesso e largamente utilizzato nell’agricoltura biologica. L’unica differenza è che il mais BT la produce spontaneamente, mentre nelle coltivazioni di mais biologico viene irrorata sulle piante con le macchine agricole.
Quindi lei vede la possibilità di una sinergia tra biologico e biotecnologie?
La grande sfida dell’agricoltura del prossimo millennio sarà ridurre il più possibile l’utilizzo di prodotti chimici, aumentando al tempo stesso la produttività. In prospettiva io vedo un’agricoltura che sia il più possibile biologica e sostenibile, ma che usa la tecnologia per creare questa sostenibilità. D’altra parte è sempre stato così, fin dall’antichità l’agricoltura si è sempre basata su modificazioni della natura e quella moderna ha semplicemente velocizzato il processo. Basta pensare alle sementi, che da decenni vengono migliorate modificandone il genoma irrorandole con prodotti chimici o radiazioni nucleari. E questo vale anche per le sementi usate nell’agricoltura biologica. Queste tecniche hanno l’inconveniente di produrre mutazioni su vasta scala nel DNA della pianta e quindi di generare anche caratteri indesiderati. Invece con le nuove tecniche di ingegneria genetica abbiamo il vantaggio di poter modificare il genoma in modo mirato, eliminando i caratteri indesiderati e al tempo stesso velocizzando tutto il processo.
La grande sfida dell’agricoltura del prossimo millennio sarà ridurre il più possibile l’utilizzo di prodotti chimici, aumentando al tempo stesso la produttività. In prospettiva io vedo un’agricoltura che sia il più possibile biologica e sostenibile, ma che usa la tecnologia per creare questa sostenibilità. D’altra parte è sempre stato così, fin dall’antichità l’agricoltura si è sempre basata su modificazioni della natura e quella moderna ha semplicemente velocizzato il processo. Basta pensare alle sementi, che da decenni vengono migliorate modificandone il genoma irrorandole con prodotti chimici o radiazioni nucleari. E questo vale anche per le sementi usate nell’agricoltura biologica. Queste tecniche hanno l’inconveniente di produrre mutazioni su vasta scala nel DNA della pianta e quindi di generare anche caratteri indesiderati. Invece con le nuove tecniche di ingegneria genetica abbiamo il vantaggio di poter modificare il genoma in modo mirato, eliminando i caratteri indesiderati e al tempo stesso velocizzando tutto il processo.
Esistono già esempi di applicazione di biotecnologie all’agricoltura biologica?
Purtroppo non ci sono ancora perché non ci viene data la possibilità di farlo. In Italia le tante ricerche sviluppate dai nostri laboratori, in particolare sulle pesche, il pomodoro e gli ulivi, sono state completamente distrutte qualche anno fa in una specie di caccia alle streghe. In realtà basta prendere in considerazione il caso del bacillus turingensis per capire quante possibilità potrebbero esserci. Oggi abbiamo pomodori più resistenti alle infezioni fungine grazie a una pelle più spessa, oppure mele resistenti alla ticchiolatura, ottenute con le tecniche di mutazioni consentite e cioè il bombardamento del DNA con radiazioni. Mi chiedo quale sia la differenza tra avere una mela resistente alla ticchiolatura ottenuta con le radiazioni e una ottenuta con la manipolazione mirata del DNA. Non c’è nessuna differenza, ma anzi nel secondo caso saremmo più sicuri.
Purtroppo non ci sono ancora perché non ci viene data la possibilità di farlo. In Italia le tante ricerche sviluppate dai nostri laboratori, in particolare sulle pesche, il pomodoro e gli ulivi, sono state completamente distrutte qualche anno fa in una specie di caccia alle streghe. In realtà basta prendere in considerazione il caso del bacillus turingensis per capire quante possibilità potrebbero esserci. Oggi abbiamo pomodori più resistenti alle infezioni fungine grazie a una pelle più spessa, oppure mele resistenti alla ticchiolatura, ottenute con le tecniche di mutazioni consentite e cioè il bombardamento del DNA con radiazioni. Mi chiedo quale sia la differenza tra avere una mela resistente alla ticchiolatura ottenuta con le radiazioni e una ottenuta con la manipolazione mirata del DNA. Non c’è nessuna differenza, ma anzi nel secondo caso saremmo più sicuri.
Anche qui in Expo Milano 2015 si è parlato molto di queste biotecnologie di nuova generazione, ne ha parlato anche il Ministero dell’Agricoltura. Pensa stia iniziando una nuova fase?
Penso ci sia ancora molto da fare per una piena accettazione e diffusione delle biotecnologie in agricoltura, ma voglio essere ottimista. E l’ottimismo mi viene dalla consapevolezza che prima o poi noi tutti avremo bisogno di queste tecnologie, per ottenere piante più produttive e resistenti. Sarebbe veramente surreale che nei prossimi trent’anni, con tutte le sfide nel campo agroalimentare che dovremmo affrontare a livello globale, l’Italia restasse fuori da questo ambito. Rischieremmo di venire colonizzati da altri tipi di ricerca e da altri prodotti, realizzati fuori dall’Italia e poi importati, come già succede oggi con la soia, il mais e il cotone. Quindi penso che l’apertura del Ministro vada nella direzione giusta e cioè verso le nuove biotecnologie come il cisgenico e il genome editing, che permettono di manipolare in modo mirato i genomi delle piante per ottenere nuove varietà, adeguate alle esigenze del prossimo futuro. Il percorso lungo da fare deve riaprire i centri di ricerca in Italia e favorire una normativa europea che distingua queste nuove biotecnologie dal vecchio transgenico. Al tempo stesso bisogna comunicare meglio con il grande pubblico, per far capire quali sono le vere opportunità offerte dalle moderne biotecnologie.
Penso ci sia ancora molto da fare per una piena accettazione e diffusione delle biotecnologie in agricoltura, ma voglio essere ottimista. E l’ottimismo mi viene dalla consapevolezza che prima o poi noi tutti avremo bisogno di queste tecnologie, per ottenere piante più produttive e resistenti. Sarebbe veramente surreale che nei prossimi trent’anni, con tutte le sfide nel campo agroalimentare che dovremmo affrontare a livello globale, l’Italia restasse fuori da questo ambito. Rischieremmo di venire colonizzati da altri tipi di ricerca e da altri prodotti, realizzati fuori dall’Italia e poi importati, come già succede oggi con la soia, il mais e il cotone. Quindi penso che l’apertura del Ministro vada nella direzione giusta e cioè verso le nuove biotecnologie come il cisgenico e il genome editing, che permettono di manipolare in modo mirato i genomi delle piante per ottenere nuove varietà, adeguate alle esigenze del prossimo futuro. Il percorso lungo da fare deve riaprire i centri di ricerca in Italia e favorire una normativa europea che distingua queste nuove biotecnologie dal vecchio transgenico. Al tempo stesso bisogna comunicare meglio con il grande pubblico, per far capire quali sono le vere opportunità offerte dalle moderne biotecnologie.
Expo Milano 2015 si sta concludendo, cosa ne pensa del dibattito che ha stimolato attorno al Tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita?
Expo Milano 2015 ha avuto un grande successo di pubblico e nella promozione delle relazioni tra moltissimi soggetti, italiani e internazionali. È stata una grande esperienza anche per Confagricoltura, sia qui sul Sito Espositivo che nella Vigna di Leonardo, il nostro programma fuori da Expo Milano 2015 che abbiamo voluto dedicare a Leonardo Da Vinci, identificando nel suo essere inventore la vera tradizione dell’Italia. Nel suo complesso, in questi sei mesi sono stati organizzati all’Esposizione Universale circa seimila dibattiti scientifici, un’eredità culturale importante. Come Confagricoltura abbiamo sempre messo al centro del dibattito l’agricoltura, ecco forse ci sarebbe piaciuto che le fosse stato data più attenzione, perché è da essa che dipende la possibilità di Nutrire il Pianeta.
Expo Milano 2015 ha avuto un grande successo di pubblico e nella promozione delle relazioni tra moltissimi soggetti, italiani e internazionali. È stata una grande esperienza anche per Confagricoltura, sia qui sul Sito Espositivo che nella Vigna di Leonardo, il nostro programma fuori da Expo Milano 2015 che abbiamo voluto dedicare a Leonardo Da Vinci, identificando nel suo essere inventore la vera tradizione dell’Italia. Nel suo complesso, in questi sei mesi sono stati organizzati all’Esposizione Universale circa seimila dibattiti scientifici, un’eredità culturale importante. Come Confagricoltura abbiamo sempre messo al centro del dibattito l’agricoltura, ecco forse ci sarebbe piaciuto che le fosse stato data più attenzione, perché è da essa che dipende la possibilità di Nutrire il Pianeta.