Di fronte alla proposta ambientalista di evitare l’acquisto di confezioni monoporzione perchè producono grandi quantità di rifiuti, il direttore dell'Istituto Italiano di Imballaggio Marco Sachet risponde che esse sono, al contrario, l'alternativa ecologica che riduce in maniera significativa gli sprechi alimentari delle famiglie.
Di fronte alla proposta ambientalista di evitare l’acquisto di confezioni monoporzione perché producono grandi quantità di rifiuti, lei risponde sostenendo che esse sono invece molto vantaggiose dal punto di vista ambientale e del risparmio delle singole famiglie. Ci può spiegare la sua posizione in merito?
Guardare all’imballaggio senza pensare al prodotto contenuto, nel caso specifico un alimento, è un esercizio modesto e parziale. Pensare che il problema ambientale sia l’imballaggio senza considerare il ruolo che esso svolge non ha molto senso. Bisogna capire se l’imballaggio svolge effettivamente il suo lavoro che è quello di preservare nel tempo il prodotto alimentare evitandone la perdita. Oggi viviamo in una società che rispetto al passato tende ad interpretare la vita in modo molto personale. Quando ero ragazzo, mia madre faceva la spesa ogni giorno e cucinava quello che comprava. Si mangiava tutto, altrimenti si era sgridati. Oggi invece in una famiglia di 4 persone è difficile che si mangi sempre tutti insieme e magari la stessa pietanza, quindi va a finire che ognuno mangia quello che preferisce. La porzione è diventata la porzione da single. Non è una mia opinione, è una constatazione. Le dosi che vengono proposte si riducono per soddisfare l’esigenza della singola persona. L’imballaggio monoporzione non fa altro che rispondere a questo nuovo modo di vivere, ma svolge anche un compito importante: evita che si prenda un prodotto con una quantità che non sia quella personale. Invece, quando questo succede, la persona singola non mangerà tutto l’alimento contenuto in un packaging che è stato pensato per 4 persone e le altre dosi rischiano di essere buttate. Tutti i cibi altamente deperibili soffrono grandemente questo problema di spreco. Uno di questi prodotti è il latte.
Confezioni monoporzione a parte, quali sono le ultime tendenze in Italia e all’estero in fatto di packaging innovativo ed ecosostenibile?
Si cerca di fare degli imballaggi che svolgano la loro funzione e che contemporaneamente siano costituiti dal minore materiale e volume possibile, ma sono le abitudini che creano l’imballaggio. Chi produce gli imballaggi non ha potere. Le aziende producono il packaging sulla base del prodotto perché esso possa avere una vita sufficientemente lunga per essere venduto. C’è un peggioramento delle abitudini, perché il consumatore di oggi, interpretando la vita in modo personale, chiede dei prodotti a dimensione di persona singola. L’imballaggio aumenterà per questa ragione. Si può fare un imballaggio più leggero, più riciclabile, ma non se ne riduce la quantità.
Ci sono delle differenze sostanziali tra un Paese e un altro?
Nei Paesi sviluppati come il nostro, le soluzioni sono simili perché hanno dovuto risolvere dei problemi simili: spostare grandi quantità di prodotto che fosse disponibile subito, sotto casa e in casa, in condizioni che mirano alla perfezione. In tutti i Paesi dove questo è successo, l’imballaggio si è configurato allo stesso modo. Certo, ci sono dei Paesi dove l’imballaggio ha una importanza ancora superiore alla nostra. Per esempio in Giappone, dove si può confezionare una singola mela. Una mela ha un valore altissimo perché è spesso importata. Quindi preferiscono imballarla singolarmente piuttosto che perderla. Noi abbiamo tante mele e quindi non ci poniamo neanche il problema. Per quando riguarda le differenze di packaging, esiste un concorso mondiale, il WorldStar Award, nell’ambito del quale si possono vedere le proposte di rinnovamento, innovazione, miglioramento degli imballaggi in tutto il mondo. L’imballaggio non è un prodotto, l’imballaggio è uno strumento, vive per il contenuto. Questo è dimostrato dal fatto che se noi consumatori fossimo disponibili a effettuare scelte meno comode, ad esempio ad acquistare anche un alimento non perfetto, potremmo avere un imballaggio più semplice. Addirittura potremmo non avere un packaging se fossimo disponibili a recarci in una stalla per acquistare il latte fresco. Ma possiamo davvero immaginare che il futuro sostenibile ci veda viaggiare da un posto all’altro per approvvigionarci di tutti i cibi che vogliamo?
Buone abitudini? Le nostre nonne facevano la spesa utilizzando borse di stoffa e di carta. Per quale ragione quella modalità di fare acquisti è stata abbandonata, per poi ritornare in auge negli ultimi anni? Cosa mancava a quell’abitudine così ecologica per diventare un sistema di trasporto perfetto?
Non gli mancava proprio niente. Tanto è vero che abbiamo le case piene di sportine. Quello che è avvenuto è che ci siamo un po’ rimbecilliti. Per molto tempo siamo andati a fare la spesa senza pensare a cosa stavamo facendo. Quindi, siccome ci regalavano -almeno quella era l’impressione - le buste, ecco che andavamo lì senza portarci la sporta. Ci regalavano il sacchetto, ma nel momento in cui hanno cominciato a farcelo pagare, le persone si sono ricordate che andavano a fare la spesa. Cosa fanno adesso? Mettono una sporta in una borsetta o nel baule della macchina e via. Ma cosa c’entra la sporta? Siamo noi che non davamo importanza alla cosa e ci accomodavamo dove ci sembrava più comodo. Se avessero continuato a darci la shopper alla cassa, cosa pensa che sarebbe successo? Credo che avremmo continuato a prendere questi sacchetti.
Le ultime tendenze in fatto di tutela ambientale, hanno contribuito alla nascita di supermercati che vendono unicamente alimenti alla spina o corsie dei più famosi supermercati che dedicano singoli reparti agli alimenti sfusi. Crede che questa nuova moda metterà in crisi l’industria del packaging?
Assolutamente no. Io credo che sia una proposta di acquisto in più per chi l’apprezza. Dal punto di vista ambientale però, ritengo che quel sistema sia valido solo se consumatore porta il suo contenitore da casa. Perché se andassi al distributore automatico, prendessi la bottiglia vuota e la riempissi e poi la volta dopo ritornassi e riprendessi la bottiglia vuota prima di riempirla, secondo lei cosa starei facendo? Nulla di diverso dal prendere dallo scaffale due bottiglie già piene del liquido alimentare.
Nell’era dell’e-commerce, come cambia l’imballaggio degli alimenti?
L’imballaggio primario del prodotto non cambia un gran che. Può cambiare l’imballaggio da trasporto perché deve essere più resistente. Consideri che la scienza e l’economia in Paesi come il nostro hanno capito che è più gestibile, economico ed ecologico movimentare i beni in modo razionale. Si è capito che è molto meglio spostare le merci che le persone.
Lasciamo da parte per un attimo il suo ruolo di direttore. Nel ruolo di consumatore quale crede che sia, attualmente, una delle abitudini più dannose dal punto di vista ambientale? Non sapere cosa ti serve. Se chi acquista gli alimenti avesse l’idea chiara di cosa sarà consumato nella sua famiglia, evidentemente acquisterà solo quello che gli serve veramente. Ma tutto questo si è perso, nel senso che chi va a fare la spesa oggi non sa più quando verrà consumato quell’alimento. Invece mia madre lo sapeva eccome. Lei lo prendeva, lo cucinava, ce lo dava da mangiare e fine dell’operazione. Oggi non è più così. Inoltre, abbiamo tre magazzini in casa. Il frigo, il freezer e la dispensa. Secondo lei, chi fa la spesa e poi mette gli alimenti in uno di questi tre magazzini, usa il principio semplicissimo per cui il primo prodotto che entra dovrebbe essere il primo che esce? Questa è una mancanza di consapevolezza che si aggiunge a quella precedente. Non so quando quel cibo verrà consumato e, in più, creo un magazzino che non gestisco.
Quanto vale l’industria dell’imballaggio in Italia, in Europa e nel mondo?
L'Italia, con un fatturato di circa 29,3 miliardi di Euro, rappresenta il 5,4% della produzione mondiale, ed è tra i dieci Paesi maggiori produttori di packaging. Secondo i dati dell’Istituto Italiano di Imballaggio il consolidato 2013 della produzione mondiale di imballaggi è valutata in 540 miliardi di euro, di cui le principali aree sono l'Asia con uno share del 31% tendenzialmente in aumento, il Nord America con il 26% e l'Europa Occidentale con uno share del 23,5%. Seguono l'area dell'Europa dell'Est (compresa la Russia) con una partecipazione del 9%, il Sud Centro America con uno share complessivo del 6%, l'Africa con il 2,5% in crescita, e l'Oceania con il 2% in progressivo sviluppo.
Un imballaggio ecologico è più costoso di un imballaggio tradizionale? Dipende da cosa si vuole ottenere, l’imballaggio ha un costo variabile in relazione alla funzione che deve svolgere. Voglio un prodotto che mantenga le sue caratteristiche peculiari per un tempo più lungo? Devo fare un imballaggio più performante che costerà di più. Voglio che quel prodotto non venga buttato via? La bottiglia mi costa, ma non butto via il latte che è il valore da salvaguardare.
Guardare all’imballaggio senza pensare al prodotto contenuto, nel caso specifico un alimento, è un esercizio modesto e parziale. Pensare che il problema ambientale sia l’imballaggio senza considerare il ruolo che esso svolge non ha molto senso. Bisogna capire se l’imballaggio svolge effettivamente il suo lavoro che è quello di preservare nel tempo il prodotto alimentare evitandone la perdita. Oggi viviamo in una società che rispetto al passato tende ad interpretare la vita in modo molto personale. Quando ero ragazzo, mia madre faceva la spesa ogni giorno e cucinava quello che comprava. Si mangiava tutto, altrimenti si era sgridati. Oggi invece in una famiglia di 4 persone è difficile che si mangi sempre tutti insieme e magari la stessa pietanza, quindi va a finire che ognuno mangia quello che preferisce. La porzione è diventata la porzione da single. Non è una mia opinione, è una constatazione. Le dosi che vengono proposte si riducono per soddisfare l’esigenza della singola persona. L’imballaggio monoporzione non fa altro che rispondere a questo nuovo modo di vivere, ma svolge anche un compito importante: evita che si prenda un prodotto con una quantità che non sia quella personale. Invece, quando questo succede, la persona singola non mangerà tutto l’alimento contenuto in un packaging che è stato pensato per 4 persone e le altre dosi rischiano di essere buttate. Tutti i cibi altamente deperibili soffrono grandemente questo problema di spreco. Uno di questi prodotti è il latte.
Confezioni monoporzione a parte, quali sono le ultime tendenze in Italia e all’estero in fatto di packaging innovativo ed ecosostenibile?
Si cerca di fare degli imballaggi che svolgano la loro funzione e che contemporaneamente siano costituiti dal minore materiale e volume possibile, ma sono le abitudini che creano l’imballaggio. Chi produce gli imballaggi non ha potere. Le aziende producono il packaging sulla base del prodotto perché esso possa avere una vita sufficientemente lunga per essere venduto. C’è un peggioramento delle abitudini, perché il consumatore di oggi, interpretando la vita in modo personale, chiede dei prodotti a dimensione di persona singola. L’imballaggio aumenterà per questa ragione. Si può fare un imballaggio più leggero, più riciclabile, ma non se ne riduce la quantità.
Ci sono delle differenze sostanziali tra un Paese e un altro?
Nei Paesi sviluppati come il nostro, le soluzioni sono simili perché hanno dovuto risolvere dei problemi simili: spostare grandi quantità di prodotto che fosse disponibile subito, sotto casa e in casa, in condizioni che mirano alla perfezione. In tutti i Paesi dove questo è successo, l’imballaggio si è configurato allo stesso modo. Certo, ci sono dei Paesi dove l’imballaggio ha una importanza ancora superiore alla nostra. Per esempio in Giappone, dove si può confezionare una singola mela. Una mela ha un valore altissimo perché è spesso importata. Quindi preferiscono imballarla singolarmente piuttosto che perderla. Noi abbiamo tante mele e quindi non ci poniamo neanche il problema. Per quando riguarda le differenze di packaging, esiste un concorso mondiale, il WorldStar Award, nell’ambito del quale si possono vedere le proposte di rinnovamento, innovazione, miglioramento degli imballaggi in tutto il mondo. L’imballaggio non è un prodotto, l’imballaggio è uno strumento, vive per il contenuto. Questo è dimostrato dal fatto che se noi consumatori fossimo disponibili a effettuare scelte meno comode, ad esempio ad acquistare anche un alimento non perfetto, potremmo avere un imballaggio più semplice. Addirittura potremmo non avere un packaging se fossimo disponibili a recarci in una stalla per acquistare il latte fresco. Ma possiamo davvero immaginare che il futuro sostenibile ci veda viaggiare da un posto all’altro per approvvigionarci di tutti i cibi che vogliamo?
Buone abitudini? Le nostre nonne facevano la spesa utilizzando borse di stoffa e di carta. Per quale ragione quella modalità di fare acquisti è stata abbandonata, per poi ritornare in auge negli ultimi anni? Cosa mancava a quell’abitudine così ecologica per diventare un sistema di trasporto perfetto?
Non gli mancava proprio niente. Tanto è vero che abbiamo le case piene di sportine. Quello che è avvenuto è che ci siamo un po’ rimbecilliti. Per molto tempo siamo andati a fare la spesa senza pensare a cosa stavamo facendo. Quindi, siccome ci regalavano -almeno quella era l’impressione - le buste, ecco che andavamo lì senza portarci la sporta. Ci regalavano il sacchetto, ma nel momento in cui hanno cominciato a farcelo pagare, le persone si sono ricordate che andavano a fare la spesa. Cosa fanno adesso? Mettono una sporta in una borsetta o nel baule della macchina e via. Ma cosa c’entra la sporta? Siamo noi che non davamo importanza alla cosa e ci accomodavamo dove ci sembrava più comodo. Se avessero continuato a darci la shopper alla cassa, cosa pensa che sarebbe successo? Credo che avremmo continuato a prendere questi sacchetti.
Le ultime tendenze in fatto di tutela ambientale, hanno contribuito alla nascita di supermercati che vendono unicamente alimenti alla spina o corsie dei più famosi supermercati che dedicano singoli reparti agli alimenti sfusi. Crede che questa nuova moda metterà in crisi l’industria del packaging?
Assolutamente no. Io credo che sia una proposta di acquisto in più per chi l’apprezza. Dal punto di vista ambientale però, ritengo che quel sistema sia valido solo se consumatore porta il suo contenitore da casa. Perché se andassi al distributore automatico, prendessi la bottiglia vuota e la riempissi e poi la volta dopo ritornassi e riprendessi la bottiglia vuota prima di riempirla, secondo lei cosa starei facendo? Nulla di diverso dal prendere dallo scaffale due bottiglie già piene del liquido alimentare.
Nell’era dell’e-commerce, come cambia l’imballaggio degli alimenti?
L’imballaggio primario del prodotto non cambia un gran che. Può cambiare l’imballaggio da trasporto perché deve essere più resistente. Consideri che la scienza e l’economia in Paesi come il nostro hanno capito che è più gestibile, economico ed ecologico movimentare i beni in modo razionale. Si è capito che è molto meglio spostare le merci che le persone.
Lasciamo da parte per un attimo il suo ruolo di direttore. Nel ruolo di consumatore quale crede che sia, attualmente, una delle abitudini più dannose dal punto di vista ambientale? Non sapere cosa ti serve. Se chi acquista gli alimenti avesse l’idea chiara di cosa sarà consumato nella sua famiglia, evidentemente acquisterà solo quello che gli serve veramente. Ma tutto questo si è perso, nel senso che chi va a fare la spesa oggi non sa più quando verrà consumato quell’alimento. Invece mia madre lo sapeva eccome. Lei lo prendeva, lo cucinava, ce lo dava da mangiare e fine dell’operazione. Oggi non è più così. Inoltre, abbiamo tre magazzini in casa. Il frigo, il freezer e la dispensa. Secondo lei, chi fa la spesa e poi mette gli alimenti in uno di questi tre magazzini, usa il principio semplicissimo per cui il primo prodotto che entra dovrebbe essere il primo che esce? Questa è una mancanza di consapevolezza che si aggiunge a quella precedente. Non so quando quel cibo verrà consumato e, in più, creo un magazzino che non gestisco.
Quanto vale l’industria dell’imballaggio in Italia, in Europa e nel mondo?
L'Italia, con un fatturato di circa 29,3 miliardi di Euro, rappresenta il 5,4% della produzione mondiale, ed è tra i dieci Paesi maggiori produttori di packaging. Secondo i dati dell’Istituto Italiano di Imballaggio il consolidato 2013 della produzione mondiale di imballaggi è valutata in 540 miliardi di euro, di cui le principali aree sono l'Asia con uno share del 31% tendenzialmente in aumento, il Nord America con il 26% e l'Europa Occidentale con uno share del 23,5%. Seguono l'area dell'Europa dell'Est (compresa la Russia) con una partecipazione del 9%, il Sud Centro America con uno share complessivo del 6%, l'Africa con il 2,5% in crescita, e l'Oceania con il 2% in progressivo sviluppo.
Un imballaggio ecologico è più costoso di un imballaggio tradizionale? Dipende da cosa si vuole ottenere, l’imballaggio ha un costo variabile in relazione alla funzione che deve svolgere. Voglio un prodotto che mantenga le sue caratteristiche peculiari per un tempo più lungo? Devo fare un imballaggio più performante che costerà di più. Voglio che quel prodotto non venga buttato via? La bottiglia mi costa, ma non butto via il latte che è il valore da salvaguardare.
Nell’Oceano Pacifico esiste una gigantesca isola di plastica. Viene chiamata Plastisfera e secondo gli esperti pesa più di 21 mila tonnellate. Secondo lei quali potrebbero essere le soluzioni per evitare che diventi sempre più grande? Basta la plastica biodegradabile?
La plastica biodegradabile potrebbe non galleggiare, ma esserci lo stesso. Se noi misuriamo un fenomeno solo con i nostri sensi, perdiamo una bella parte di sapere. Quello che so, è che se esiste questa plastisfera è perché le persone buttano nell’ambiente la plastica e molte altre cose invece di riporla dove devono riportarla, pensando che sia un gesto lecito. Se i consumatori sono incoscienti o si comportano male, possiamo per assurdo pensare di togliere la plastica, ma le persone continueranno a essere maleducate. Le sue domande sono tutte lecite, ma non tengono conto di questo aspetto: che siamo noi la causa di questo problema. Non il materiale. Personalmente non credo che la biodegradabilità possa essere la soluzione che ci permetta di continuare a buttare la plastica nell’ambiente senza pensare alle conseguenze.
Quindi lei crede che ci vorrebbe più educazione all’acquisto intelligente?
La sostenibilità passa dall’essere umano e dalle sue scelte, ma anche dalle sue rinunce, perché per essere sostenibile devi essere disposto a rinunciare a qualche comodità. Non si può pensare che la sostenibilità debba essere risolta tramite gli oggetti. Certo, il contributo ci può stare, ma il problema è un altro. Lo dice anche il proverbio: non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca.
La plastica biodegradabile potrebbe non galleggiare, ma esserci lo stesso. Se noi misuriamo un fenomeno solo con i nostri sensi, perdiamo una bella parte di sapere. Quello che so, è che se esiste questa plastisfera è perché le persone buttano nell’ambiente la plastica e molte altre cose invece di riporla dove devono riportarla, pensando che sia un gesto lecito. Se i consumatori sono incoscienti o si comportano male, possiamo per assurdo pensare di togliere la plastica, ma le persone continueranno a essere maleducate. Le sue domande sono tutte lecite, ma non tengono conto di questo aspetto: che siamo noi la causa di questo problema. Non il materiale. Personalmente non credo che la biodegradabilità possa essere la soluzione che ci permetta di continuare a buttare la plastica nell’ambiente senza pensare alle conseguenze.
Quindi lei crede che ci vorrebbe più educazione all’acquisto intelligente?
La sostenibilità passa dall’essere umano e dalle sue scelte, ma anche dalle sue rinunce, perché per essere sostenibile devi essere disposto a rinunciare a qualche comodità. Non si può pensare che la sostenibilità debba essere risolta tramite gli oggetti. Certo, il contributo ci può stare, ma il problema è un altro. Lo dice anche il proverbio: non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca.