Secondo l’accademico dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, il benessere non si può ricondurre a un numero, ma nasce da un insieme di fattori, che varia da cultura a cultura. Per questo, un indice attendibile deve basarsi su criteri condivisi con la società civile.
Il percorso intrapreso per trovare un indice alternativo al PIL dura ormai da 40 anni. Quali sono le principali difficoltà alla sua formulazione?
Il benessere non può essere condensato in un’unica cifra, ma è l’espressione di un set di indicatori. E quando si vuole sintetizzare in un unico valore questo cruscotto, si apre il dibattito su che peso attribuire alle diverse voci.
Tra gli indici alternativi al Pil sviluppati negli anni a livello globale, quali ritiene i più 'interessanti' e perché?
Considero tra i più autorevoli l’Hdi (Human development index-indice di sviluppo umano), che è utilizzato dall’Onu nell’ambito del programma Undp (Nazioni Unite per lo Sviluppo) per valutare la qualità della vita nei Paesi membri.
Il Gpi (Genuine progress indicator-indicatore del vero progresso) spicca per il tentativo di rendere operative le indicazioni del celebre discorso che Robert Kennedy pronunciò alla Kansas University nel 1968. Cerca infatti di eliminare il cosiddetto ‘paradosso del Pil’, ovvero il fatto che la semplice sommatoria dei redditi non tiene conto della loro natura o provenienza, per esempio mette sullo stesso piano medicine e armi da fuoco.
Non va dimenticato il Swb (Subjective well being-benessere soggettivo), introdotto per la prima volta nel Rapporto Globale sulla Felicità 2013 dalle Nazioni Unite, che è stato inserito nel nuovo quadro relativo alla politica sanitaria in Europa presentato dall’OMS, l’Health2020.
Del Gnh (Gross National Happiness o Fil-Felicità interna lorda), inventato dal re del Butham negli anni Settanta e utilizzato ufficialmente dal 2010, apprezzo soprattutto l’attenzione al benessere spirituale, espressione della cultura di quell'area geografica.
Lei figura tra i tecnici della commissione scientifica del progetto Bes: quali sono i punti di forza di questo progetto?
Sicuramente l’aspetto più interessante è la natura inclusiva del lavoro che è stato fatto. C’è stato un reale coinvolgimento della società civile italiana, con un approccio partecipativo.
Quali tra questi indici tengono in maggior conto gli aspetti ambientali, le risorse naturali, la salute umana e aspetti che possono essere a vario titolo collegati con la possibilità di seguire una sana alimentazione?
Direi tutti. La salute è uno dei pilastri dell’Hdi. Il Gpi, tra gli indicatori ambientali, include: costi dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua e dell’inquinamento acustico, perdita di suolo agricolo, perdita di aree palustri, costo di disboscamento e deforestazione, danni da emissioni di anidride carbonica, costi di danneggiamento dell’ozono, costi di danneggiamento delle risorse non rinnovabili.
Tra i fattori di benessere soggettivo del Swb, rientra l’alimentazione corretta.
La qualità dell'aria e la salute dei cittadini sono indicatori del Gnh o Fil. Due domini (e diversi indicatori) del Bes fanno riferimento all’ambiente e alla salute.
Lei è anche nel Comitato Scientifico di Fondazione Symbola, che ha elaborato il Piq-Prodotto Interno Qualità. Quali sono le caratteristiche di questo indicatore?
Questo lavoro ha un particolare significato in un momento di crisi, quando si tende a far prevalere il disfattismo. È infatti finalizzato a far emergere il buono che c’è nel nostro Paese, focalizzandosi sul portafoglio di produzioni a maggior valore aggiunto. In pratica, è un distillato del Pil che tiene conto delle nostre migliori specialità. È un processo che tutti i Paesi ad alto reddito dovrebbero fare, per far emergere il proprio genius loci. E visto che il comparto alimentare riunisce gran parte delle nostre eccellenze, Expo Milano 2015 potrebbe diventare una rassegna del nostro Piq.
In ambito aziendale, qual è l'eredità della riflessione economica sugli indici complementari?
Anche la rendicontazione aziendale si deve basare su indicatori socio-ambientali oggettivi, in modo che le imprese non costruiscano report di sostenibilità a proprio uso e consumo. I sistemi di rating etico sono appunto un metodo di valutazione degli aspetti non finanziari, e gli enti terzi se ne servono per certificare i bilanci sociali delle aziende. In presenza di criteri di valutazione condivisi, i consumatori possono fare il famoso ‘voto con il portafoglio’. Possono cioè premiare con l’acquisto i marchi che dimostrano su basi oggettive l’impegno del produttore per il benessere dei lavoratori e per l’ambiente.
Da uno a dieci, qual è la misura della sua felicità personale?
Dieci! Nel mondo ci sono problemi e soluzioni: contribuire alle soluzioni è quello che mi rende felice.